Normativa

Direttiva 2020/2184: la qualità al punto di prelievo

La Direttiva 2020/2184 sulla qualità dell’acqua apporta nuove regole, ma anche due concetti nuovi e delicati: il primo è che la qualità si misura al punto di prelievo e non a quello di consegna e la seconda è che la qualità è un mix equilibrato fra valori chimici e aspetti microbiologici, con conseguenze su materiali e metodologie di intervento.

La legge è cambiata e quindi è necessario adeguarsi tecnicamente, ma prima ancora capirne i criteri e le conseguenze. La vecchia Legge 31 2001 che costituita la Attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano è stata sostituita dalla Direttiva 2020/2184 approvata nel dicembre 2020 ed entrata in esistenza negli Stati Membri dell’Unione il 12 gennaio 2023. La sua effettività è ancora subordinata ad una Legge attuativa che ne stabilisca definitivamente l’entrata in vigore.

Si tratta di una specie di atto dovuto: in questi vent’anni si sono verificate trasformazioni importanti sia sul fronte della tecnologia dei materiali, sia sul fronte delle conoscenze sugli aspetti applicativi, sia e forse soprattutto sulla crescita di sensibilità in materia di qualità dell’acqua potabile.

Nella revisione del testo passiamo da una definizione di acqua adibita al consumo umano che deve possedere requisiti di potabilità ad una messa in risalto della potabilità e dei suoi requisiti per considerare utilizzabile ai fini del consumo umano l’acqua, calda o fredda che sia.

Siamo infatti in un’epoca in cui esiste una forte pressione commerciale all’adozione di strumenti che affermano di incrementare la bevibilità dell’acqua (non la potabilità, la bevibilità) attraverso l’uso di tecnologie di addolcimento, ma questa è solo una delle metodologie che possono intervenire su questo argomento, tecnologie che vanno dai materiali costruttivi alle metodologie di contrasto dei fattori microbiologici scatenanti patologie.

La Direttiva parte da un assunto importante che potremmo considerare scontato, ma che – come vedremo più avanti – costituisce un elemento cardine: l’orientamento al risultato e non alla prescrizione: si dice infatti che ““Gli obiettivi della presente direttiva sono la protezione della salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano…“.

Il cambio di approccio della Direttiva 2020/2184

Il testo di legge della Direttiva 2020/2184 propone innanzitutto due indicazioni che cambiano l’approccio all’impianto, sia in fase di progettazione e installazione, sia in fase manutentiva.

Il primo punto è costituito da un elemento di metodo: la prima azione da compiere è una valutazione del rischio, una valutazione che deve essere svolta sulla base di dati certi disponibili. Questa qualità dell’acqua deve essere verificata preliminarmente e analiticamente e poi resa coerente con le sue modalità di erogazione e quindi con il layout impiantistico, le modalità di utilizzo dell’impianto e un piano di gestione o manutenzione che tenga conto delle risultanze delle analisi per gestire correttamente il rischio.

Si tratta di ragionare anche dell’acqua in una chiave HACCP, per convertire definitivamente la realizzazione degli impianti secondo la tradizionale Regola d’arte termoidraulica e trasformare l’impianto nel veicolo di erogazione di acqua potabile: solo in Italia infatti si distingue fra cibo e bevanda, mentre nel resto d’Europa si guarda all’acqua come alimento e quindi è ancor più facile forse parlare di analisi dei punti di rischio e controllo dei punti critici, cioè della procedura che è a noi nota per il prodotto alimentare ma che fatica ad essere estesa ad altri campi pur contigui che riguardano la salute dei fruitori di attività impiantistiche.

Il secondo aspetto è quello della collocazione del punto di valutazione: non più il punto di consegna, ma il punto di erogazione. In questo senso si crea una sinergia sostanziale fra chi porta l’acqua all’impianto e chi attraverso l’impianto la porta al consumatore: questa sinergia deve essere alla base di un modello di comportamento nuovo, in cui non si cercano responsabilità a valle dell’evidenza del problema, ma si collabora in una logica preventiva a ridurre il suo manifestarsi eliminando o riducendo le cause di rischio.

Durezza dell’acqua

La nuova Direttiva 2020/2184 mette in risalto con massima evidenza un argomento sul quale spesso si sono viste prese di posizione unilaterali e in qualche modo gravide di malintesi: il testo dice esplicitamente che l’acqua potabile deve rispettare condizioni di sicurezza che consistono non solo “nell’assenza di sostanze e microorganismi nocivi, ma anche nella presenza di determinate quantità di minerali naturali ed elementi essenziali, tenendo conto che il consumo a lungo termine di acque demineralizzate o con quantità molto esigue di elementi essenziali quali calcio e magnesio può essere pregiudizievole per la salute umana.

Un’indicazione che trova riscontro nell’opinione di tecnici che hanno da tempo sott’occhio il problema della potabilità e delle sue connessioni ad un altro argomento che approfondiremo tra poco, la presenza di legionella pneumophilia negli impianti e che giudicano gli addolcitori in maniera dubitativa soprattutto per la potenziale aggressività di un’acqua con un potenziale ossidativo molto alto per gli impianti, nonché per il mancato apporto di Sali minerali in un’ottica di salute.

Legionella

La formulazione delle disposizioni in merito alla legionella crea condizioni di approfondimento sia dal punto di vista della ricognizione periodica dei valori sia sotto il profilo degli strumenti di contrasto, perché la soglia indicata dal legislatore europeo, 1000 Ufc/l è una soglia molto impegnativa da raggiungere e quindi richiede un atteggiamento e una metodologia di lavoro estremamente costruttivi, che sono rispecchiati nel resto del testo e in particolare nel momento in cui si affrontano i tassi di clorito e clorato ammessi negli impianti.

La prassi più in voga infatti, quella dell’uso di metodi di contrasto impostati sulla clorazione continua o sull’iperclorazione, va ad essere regolamentata attraverso le disposizioni di soglia previste sui cloriti e sui clorati. In particolare i cloriti, il cui limite che era 0,70 mg/l è stato portato a 0,25 ma rimane 0,70 nel caso si usino cloroderivati come disinfettanti, ma normalmente la causa della presenza di cloriti è proprio la disinfezione dell’acqua con cloroderivati. Un discorso del tutto analogo viene automatico per i clorati, prima assenti dalla norma e oggi introdotti con gli stessi limiti e le stesse considerazioni dei cloriti.

PFAS

I PFAS, per-e poli-fluoroalchili, sono oggetto di crescente attenzione da parte del legislatore, tanto da essere in fase di studio un’inclusione allargata di questi nella normativa REACH. Essi sono utilizzati per impermeabilizzare all’acqua e ai grassi e vengono impiegati per numerosi prodotti commerciali come impermeabilizzanti per tessuti e pelli ma anche per insetticidi, schiume antincendio, vernici e nel rivestimento dei contenitori per il cibo, nella cera per pavimenti e detersivi. L’utilizzo più noto di questi composti è probabilmente per il rivestimento antiaderente delle pentole da cucina e la produzione dei tessuti tecnici.

A livello medico sono definiti interferenti endocrini, in grado quindi di alterare tutti i processi dell’organismo che coinvolgono gli ormoni. Il limite è 0,50 μg/l, mentre la somma dei soli PFAs ritenuti pericolosi di cui è stata rilevata la presenza nelle acque potabili ha un limite fissato a 0,10 μg/l.

Allegati e strumenti

Fra i numerosi allegati che la Direttiva 2020/2184 porta con sé, vale la pena di enfatizzare l’importanza di due parti dell’Allegato II, la A e la B. Esse specificamente trattano di due aree di operatività che sono al centro delle scelte di monitoraggio e manutentive di ogni impianto.

La Parte A – Monitoraggio indica e determina le linee generali dei controlli che gli stati devono porre in essere per raggiungere gli obiettivi della Direttiva.

La Parte B – Parametri e frequenza di campionamento dà istruzioni precise in merito ai parametri da controllare e la frequenza con cui devono essere fatti i campionamenti, in base alla dimensione dell’acquedotto.