Energia pulita: in Italia il mercato dell’idrogeno verde stenta a decollare

Davide Chiaroni: “Siamo solo alle linee guida, che fissano l’obiettivo di 5 GW di capacità di elettrolizzatori al 2030 con 10 miliardi di euro di investimenti, ma non nel potenziamento delle energie rinnovabili, senza le quali nessun mercato dell’idrogeno verde potrà svilupparsi, ma servono incentivi. Bene però lo stanziamento di 3,7 miliardi di euro previsto nel PNRR, di cui 2 per l’uso di idrogeno in settori difficili da decarbonizzare”.

È urgente che l’Italia definisca la propria strategia nazionale per l’idrogeno e soprattutto l’idrogeno verde, indicando con precisione gli obiettivi che intende raggiungere e i percorsi per raggiungere i traguardi, nella scia della strategia europea e come già fatto dai principali paesi membri. Per ottimizzare lo sviluppo del mercato, che al momento si può definire “primordiale”, è necessario creare nuovi sistemi di incentivazione, sia per i produttori che per gli utilizzatori finali, e avviare progetti pilota per valutare in concreto le differenti opzioni sia dal punto di vista della produzione che del trasporto, che dell’uso dell’idrogeno. Senza dimenticare di riprendere con decisione gli investimenti nelle energie rinnovabili alla base della produzione di idrogeno verde, l’unica che rispetti appieno il livello di emissioni consentite dalla normativa europea.

È questa la conclusione a cui giunge l’Hydrogen Innovation Report 2021, il primo che l’Energy & Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano dedica alla produzione di idrogeno dal punto di vista delle tecnologie, delle emissioni di CO2, dei modelli di business e della loro sostenibilità economica, fino all’idrogeno verde, tema di grande attualità che si inserisce nell’ampio dibattito sulla necessità di accelerare in tutto il mondo il processo di neutralità carbonica.

“Gli obiettivi per il settore dell’idrogeno dovrebbero essere integrati nella roadmap di decarbonizzazione prevista dal Fit for 55 – spiega Davide Chiaroni, vicedirettore dell’E&S Group – così da pianificare lo sviluppo aggregato delle fonti di energia rinnovabile necessario a raggiungere questi risultati. Senza l’ottimizzazione degli iter autorizzativi per permettere una crescita vera delle rinnovabili, in Italia non sarà possibile sviluppare un mercato dell’idrogeno verde. Una nota decisamente positiva, però, viene dagli importanti investimenti stanziati all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza: 3,7 miliardi di euro, di cui 2 per l’uso di idrogeno in settori difficili da decarbonizzare”.

L’idrogeno è l’elemento chimico più diffuso nell’Universo e sulla Terra, ma quando se ne parla nel contesto energetico si intende in realtà la molecola di idrogeno H2, assai rara in atmosfera e in grado di produrre energia (termica mediante combustione o elettrica mediante elettrolisi) in maniera pulita senza emissione di anidride carbonica. Tuttavia, essendo rara, tale molecola va prodotta e questo consuma a sua volta energia: il bilancio tra le emissioni di CO2 durante la produzione e i costi complessivi di generazione, trasporto e stoccaggio è alla base dell’intero ruolo dell’idrogeno nella transizione energetica. Oggi la quasi totalità dell’idrogeno prodotto (marrone o grigio) ha un forte e negativo impatto sull’ambiente ma costa poco: soltanto lo 0,7% è idrogeno verde, derivato da processi assai più costosi ma poco o per nulla inquinanti.

La Strategia Europea per l’idrogeno, rilasciata dalla Comunità Europea nel luglio 2020, vuole essere uno dei cardini della completa decarbonizzazione dell’economia e del raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica al 2050: entro il 2030 si prevede di investire tra i 320 e i 458 miliardi di euro, di cui 220-340 miliardi per aumentare la produzione di energia fotovoltaica ed eolica necessaria all’idrogeno verde, e di installare 40 GW di capacità di elettrolizzatori (attualmente siamo a meno di 1) più altri 40 GW nel vicino medio-oriente, così da raggiungere nel 2050 i 500 GW di capacità installata. L’utilizzo dell’idrogeno nei consumi finali dovrebbe passare dall’attuale 2% fino al 14%, coinvolgendo non solo l’industria chimica e di raffinazione, ma anche quella siderurgica, il trasporto pesante via terra, marittimo e aereo, il riscaldamento urbano e industriale. Tuttavia, ad oggi permangono una serie di importanti ostacoli, alcuni generati dalla stessa normativa europea: i vincoli posti dalla RED II sulle emissioni di CO2 consentite per l’idrogeno pulito, ad esempio, non permettono l’adozione dell’idrogeno blu, in attesa di adottare il più ecologico idrogeno verde.

La Strategia Europea è stata seguita da quelle dei principali Paesi membri, tra cui Germania, Francia e Spagna. In Italia, invece, al momento sono disponibili solo le Linee guida della strategia italiana per l’idrogeno emesse dal Ministero dello Sviluppo economico lo scorso novembre, che fissano l’obiettivo di 5 GW di capacità di elettrolizzatori nel 2030 e indicano investimenti per circa 10 miliardi, di cui 5-7 per la produzione di H2 (ma non per lo sviluppo di impianti di rinnovabili alla base del processo per l’idrogeno verde), 2-3 per la realizzazione di infrastrutture e 1 per la ricerca. Cifre non dissimili da quelle di Germania, Francia e Spagna.

L’energia rinnovabile di cui disporrà l’Italia al 2030 è in linea con questi obiettivi? Per rispondere alla domanda, l’E&S Group ha sviluppato due scenari: nel primo, si considera quanta elettricità da rinnovabili in più sia necessaria per coprire la differenza tra gli attuali consumi di idrogeno e quelli in programma al 2030 (i 5 GW previsti di elettrolizzatori saranno chiamati a produrre 0,2 Mton di H2 all’anno), nel secondo invece si valuta quanta ne occorrerebbe anche per sostituire con idrogeno verde il 50% di idrogeno non «green» (più del doppio, 0,45 Mton di H2 /anno). Se nel primo scenario la capacità prevista di elettrolizzatori e una generazione di rinnovabile aggiuntiva di 7,5 GW sarebbero sufficienti, nel secondo caso assolutamente no.

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