
La refrigerazione commerciale richiede un tipo speciale di frigorista, soprattutto pronto a rispondere alle urgenze della clientela. Anche in questo comparto l’innovazione tecnologica e il divieto di utilizzare gas ad alto GWP stanno contribuendo all’evoluzione del settore.
Un mercato fatto a fette
La refrigerazione commerciale non è un mondo così compatto e univoco come la si vede qualche volta dall’esterno: anche l’evoluzione tecnologica in corso, legata alle norme e al divieto progressivamente stringente di utilizzo di gas ad alto GWP. Proviamo a capire come si sta comportando il mercato con l’aiuto di un osservatore attento, Domenico Ortiz, titolare di Ortiz Victor Impianti e arredo food a Bari, che ci descrive un percorso sicuramente interessante, ma meno lineare di come la si vede “da fuori”. In primo luogo emerge che si ha a che fare con un cliente che si muove senza informazioni tecniche e quasi esclusivamente all’ultimo minuto, sollecitato da ragioni più di portafoglio che tecniche (e tantomeno ecologiche): è il segnale più chiaro che emerge dalle parole di Domenico Ortiz, che nota però anche segnali di indirizzamento utili a mettere in campo strumenti adeguati per esigenze specifiche, in maniera tale che i singoli sottosegmenti del mondo del food service siano adeguatamente equipaggiati nel rispetto delle norme e in modalità efficiente.
A più di un anno dalla pubblicazione del nuovo Regolamento, quale impatto ha avuto questo input normativo sulla vostra attività nella refrigerazione commerciale?
“Il primo esito del Regolamento è stato quello di un necessario investimento di materiale e attrezzature per operare sui gas infiammabili. Ci siamo attrezzati per poter operare in sicurezza. Ma non ha comportato enormi cambiamenti nei comportamenti sul campo”.
Si sta ancora a viaggiando di conserva?
“Per quanto ci riguarda abbiamo fatto un altro investimento, che possiamo chiamare preventivo: ci siamo dotati di grosse scorte anche di gas, evitando di finire schiacciati dalla guerra dei prezzi in corso e lo abbiamo fatto anche su altre referenze, mettendo a magazzino materiale che oggi è sempre più richiesto, ma qualche mese fa non lo era, quindi possiamo dire che abbiamo affrontato il primo momento destabilizzante a livello di prezzi e disponibilità con una tranquillità abbastanza utile a contenere anche difficoltà commerciali con il cliente”.
Ma il cliente è consapevole del percorso che dovrà fare con le sue macchine e i suoi impianti?
“No, posso essere serenamente certo nel rispondere che oggi il cliente continua a muoversi sulla sola variabile del prezzo: è vero che R448 ed R 449 sono diventati molto costosi, ma quando il differenziale è fra un acquisto di uno o due chili di gas e la sostituzione di una macchina il cliente continua a considerare la dimensione dell’onere nell’immediato e non ragiona in un’ottica di lungo periodo. Un prezzo alto di un kg di gas non è in alcun modo comparabile con quello di una macchina nuova”.
Un limite all’evoluzione verso le nuove soluzioni?
“Se lo vogliamo vedere così, ma in realtà dobbiamo calarci non solo nella mentalità, ma anche nell’ordine dimensionale ed economico di queste attività. Oggi una perdita riparabile e una ricarica effettuabile su macchine piccole o poche unità come succede appunto nel food service, ristorazione, pubblici esercizi, commercio al dettaglio è assolutamente al di fuori della possibilità di partecipare ad un processo che punta alla decarbonizzazione totale fra 25 anni. Questi 25 anni sono un’eternità per questi soggetti, che si avvicineranno ai gas della transizione in maniera lenta, più per necessità di sostituzione che stimolati da un Regolamento che purtroppo non conoscono”.
Quindi un processo per gradi, molto “ponderato”
“Ponderato per ragioni di costo: oggi un armadio refrigerato riparabile anche se con gas “vecchi” viene riparato, se non è riparabile viene sostituito con un armadio a R290 e la questione viene chiusa. Ci possiamo aggiungere che i tecnici stanno cominciando ad apprendere le “regole” di manutenzione su queste apparecchiature piccole, perché a fronte di una perdita si smonta l’attrezzatura, la si porta in officina, si effettua la pressatura con azoto e si trova la perdita. Un’attività sicuramente più impegnativa che riparare in loco come si faceva con i vecchi HFC non infiammabili, ma sicuramente non impossibile”.
Che però richiede equipaggiamento e preparazione
“Sicuramente non è un’attività improvvisata, perché avere componenti certificati ATEX e per idrocarburi è un altro dei requisiti indispensabili per agire correttamente ed efficacemente in fase di manutenzione. La diffusione di questa nuova generazione di prodotti in sostituzione dei vecchi comporta che la componentistica per la riparazione sia a portata di mano e non si debba stare ad attendere la consegna. Un investimento, come si diceva prima. Noi l’abbiamo fatto e questo ci sta avvantaggiando”.
E questo fenomeno sta penalizzando chi non ha avuto attenzione per questo cambiamento?
“Chi ha tentato di procedere come se nulla fosse cambiato sta pagandone le spese, perché chiaramente fatica a far fronte a questa evoluzione che – per quanto lenta – sta avvenendo ed è innegabile. Oggi il mercato della refrigerazione dedicata al food service si sta suddividendo: le piccolissime realtà vanno verso banchi e armadi a propano, chi ha un piccolo impianto (minimarket, piccoli supermarket locali) guarda ai refrigeranti lievemente infiammabili e le grandi superfici scelgono la CO2”.
Quindi l’anidride carbonica non “occuperà” tutto il mondo della refrigerazione commerciale?
“No, non lo occuperà, perché non c’è sufficiente preparazione per affrontarla e manca anche la disponibilità mentale, tecnica e imprenditoriale ad affrontare un gas così impegnativo sotto il profilo della gestione. È frequente nel confronto fra colleghi verificare che molti non sono disponibili a farsi carico delle problematiche appunto tecniche e tecnologiche dell’anidride carbonica, a cominciare dal timore di gestire una pressione in circuito tripla rispetto a quella dei gas finora utilizzati. E non solo, c’è la necessità di qualificarsi per le saldature, di apprendere e utilizzare modalità di costruzione dei circuiti più sofisticate, far fronte a condizioni climatiche in cui la temperatura critica dell’anidride carbonica è un ostacolo a lavorare in modo efficiente”.
Quindi fra i timori del tecnico e le priorità di prezzo del cliente il mercato si segmenta?
“Come ho detto, e lo ribadisco, avremo una differenziazione che comporterà anche una differenziazione tecnica, alla quale dovrà far fronte un adeguato supporto di formazione: l’utilizzo di gas altamente o lievemente infiammabili, idrocarburi e HFO, o di gas ad alta pressione richiede che il tecnico sia adeguatamente preparato per assicurare prestazione, efficienza e sicurezza, altrimenti ci troveremo sì a mettere in campo nuove macchine, ma non potremo supportare adeguatamente il cliente”.
Si tratta di una formazione a cura dei produttori?
“La stanno già facendo e questo è un fatto positivo, ma è ancora una volta insufficiente rispetto ai volumi che si vanno a prospettare: se sostituiremo tutti i banchi e gli armadi plug-in in circolazione con attrezzature a propano, per quanto sia bassa la carica, ci deve essere una forte consapevolezza sulla questione della sicurezza, perché il gas non è inerte, è esplosivo. Altrettanto sull’anidride carbonica: là dove sarà considerato utile ed economico installarla da parte del cliente ci dovranno essere competenze adeguate a lavorare in modo conforme alla normativa (a cominciare dal DL 81/2008) e a generare efficienza sostanziale e va poi diffusa una competenza in materia elettronica, perché un impianto a CO2 ha nell’elettronica il suo elemento chiave di governo”.
E questo potrà creare uno spazio utile per lo sviluppo degli A2L?
“Nel momento in cui ci fosse una legislazione applicativa chiara su questa tipologia di gas, sono certo che non ci saranno più problemi: una volta che verranno aperte le strade a installare in maniera “sana” gli A2L, con una classe di controllo corretta e con un approccio concreto sulle categorie di rischio”.
Una tecnologia per la taglia media, insomma
“Il mercato della refrigerazione commerciale va già in questa direzione, ci auguriamo che esistano norme tecniche che ci permettano di lavorare adeguatamente e di tutelare in maniera ben congegnata sia l’investimento del cliente sia la nostra professionalità”.
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