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Lo sbrinamento delle pompe di calore

Nonostante la massiccia diffusione dei sistemi ibridi agevolata dal Superbonus 110%, basati sul generatore a condensazione e la pompa di calore aria-acqua, bisogna considerare i limiti prestazionali che quest’ultima comporta. In questo articolo cerchiamo di capire il fenomeno della brina sulla pompa di calore e la tecnologia necessaria allo sbrinamento delle pompe di calore, valutandone gli effetti energetici.

Ogni ciclo di sbrinamento, a parità di energia elettrica assorbita, comporta una perdita di resa di circa il 10% con conseguente aumento del consumo elettrico del 20 ÷ 30% rispetto ai valori dichiarati dal catalogo del costruttore, ma anche la diminuzione del COP della pompa di calore. La minor resa è causata dal ghiaccio che ostacola lo scambio termico della batteria alettata e dalla diminuzione della portata d’aria, facendo assorbire più energia elettrica alla pompa di calore per mantenere l’utenza alla temperatura impostata.

Una pompa di calore con evaporatore ad aria è soggetta ad un calo di rendimento al diminuire della temperatura dell’aria esterna, che rappresenta la sorgente a bassa temperatura del ciclo di Carnot inverso. Tale inefficienza è sovente dovuta alla formazione di brina sulla superficie esterna dello scambiatore (alette e tubi), che oltre a diminuire lo scambio termico tra fluido refrigerante e aria esterna, ostruisce il passaggio forzato dell’aria dal ventilatore compromettendo il corretto funzionamento della macchina.

Perché si crea la brina sulla pompa di calore?

Il processo di brinamento avviene quando:

1 – la temperatura dell’aria esterna va dai 5°C ai -15°C in quanto in questo range possiede una significativa quantità di umidità relativa UR;

2 – l’umidità dell’aria esterna viene considerata con valori di UR che vanno dal 65% al 100%.

Il processo di formazione della brina sulla pompa di calore è molto complesso, in quanto coinvolge effetti simultanei di trasferimento di calore e massa, la variabilità di tali processi nel tempo, genera il cambiamento di spessore del manto brinato e la contemporanea variazione delle proprietà termofisiche (densità, conduttività, porosità ecc) e delle strutture cristalline. Questo influisce sul tipo di moto dell’aria nei canali della batteria e sulle conseguenti perdite di carico.

Da ciò si capisce come, a seconda della rugosità, cambi anche la risposta dei ventilatori della macchina ed il punto di funzionamento tende a localizzarsi sempre a portate più basse man mano che la brina fa avanzare il suo fronte; risulta quindi che le variabili entrate in gioco nel processo sono molte, dallo stato dell’aria ai trattamenti superficiali dove la brina inizia a nucleare, alla localizzazione dello scambio termico.

In sintesi, la formazione della brina su una pompa di calore aria – acqua e aria – aria avviene in funzione della temperatura e dell’umidità relativa dell’aria esterna, temperatura di evaporazione del circuito frigorifero e configurazione della batteria alettata.

Come avviene la formazione della brina su una pompa di calore?

Il processo di formazione della brina sulle pompe di calore è suddiviso in:

1 – fase iniziale: la condensa depositata sull’area esterna dello scambiatore brina e forma uno strato trasparente che paradossalmente aumenta la capacità di riscaldamento e il COP, in quanto l’evaporatore passando da asciutto a bagnato ha un incremento delle prestazioni dovute alla rugosità della superficie, aumentando perciò il coefficiente di scambio;

2 – fase secondaria: cominciano a formarsi delle colonne di ghiaccio, la pressione di evaporazione e la portata d’aria si riducono leggermente grazie all’aumento dello strato di ghiaccio, perciò la capacità di riscaldamento e il COP sono influenzati negativamente dal brinamento;

3 – fase terziaria: le colonne crescono in lunghezza e il ghiaccio si solidifica, quindi la capacità di riscaldamento e il COP si riducono rapidamente, la variazione morfologica del ghiaccio causa incremento dello spessore, diminuzione della portata, incremento della resistenza termica tra aria umida e superficie fredda.

Il ciclo di sbrinamento delle pompe di calore

Il ciclo di sbrinamento (defrosting) avviene quando la pompa di calore è in fase invernale, fase in cui lo scambiatore esterno opera come evaporatore e la superficie ha temperatura molto bassa. Quando anche l’aria esterna è fredda (con un ΔT anche di 10 K) si ha la formazione di ghiaccio su di esso, dovuta alla presenza di umidità nell’aria esterna, con una riduzione dell’efficienza dello scambio termico dovuta alla capacità di isolare termicamente del ghiaccio e alla diminuzione del passo tra le alette dello scambiatore. Bisogna impostare correttamente la frequenza dei cicli di sbrinamento delle pompe di calore che, se poco frequenti, portano all’aumento dello spessore di ghiaccio sulla batteria, riducendone lo scambio di calore, mentre sbrinamenti troppo frequenti comportano l’immissione di acqua fredda nell’impianto e un sicuro spreco energetico.

Anche la durata dello sbrinamento delle pompe di calore è strategica per sciogliere la brina, se non si scioglie del tutto la parte rimanente tende a solidificarsi con la successiva ripartenza del compressore e produzione di caldo. Nella fase di funzionamento successiva al parziale sbrinamento, la brina tende a diventare più compatta. Aumentando lo strato di brina sull’evaporatore, la potenza frigorifera dell’impianto si riduce e la pressione di evaporazione del refrigerante si abbassa creando inconvenienti di funzionamento al compressore sino al suo blocco causato dalla bassa pressione di evaporazione. Per tale ragione nell’impianto va previsto con periodicità uno sbrinamento dell’evaporatore, che può essere eseguito mediante diverse modalità, a seconda della tipologia di impianto e delle diverse esigenze di conduzione. Ciascuna di tali modalità offre dei vantaggi e degli svantaggi, in termini di velocità di sbrinamento delle pompe di calore, di efficacia, di consumi energetici e di costo iniziale dei dispositivi dell’impianto.

Alcuni costruttori ipotizzano 2 o 3 cicli di sbrinamento orari, a partire dalla temperatura dell’aria esterna di 4°C ÷ 5°C ed in funzione dell’umidità relativa presente. Indipendentemente dal metodo con cui si esegue lo sbrinamento, esso rappresenta una buona parte dell’inefficienza delle pompe di calore a basse temperature dell’aria esterna, in quanto durante questo ciclo:

1 – il ventilatore dell’evaporatore viene fermato;

2 – la pompa di calore cessa di funzionare normalmente;

3 – il sistema di riscaldamento viene fermato;

4 – l’evaporatore per forza di cose si riscalda.

Ogni ciclo di sbrinamento delle pompe di calore, a parità di energia elettrica assorbita, comporta una perdita di resa di circa il 10% con conseguente aumento del consumo elettrico del 20 ÷ 30% rispetto ai valori dichiarati dal catalogo del costruttore diminuzione del COP della pompa di calore. Negli impianti aria – acqua, una sensibile percentuale dell’energia necessaria allo sbrinamento viene sottratta all’utenza, e la restante parte al lavoro meccanico del compressore frigorifero; di contro negli impianti aria-aria ad espansione diretta la sottrazione di calore è totalmente fornita dall’utenza, con conseguente riduzione della temperatura ambiente e creazione di correnti d’aria fredda a meno che si preveda sui terminali l’inserimento di una batteria di postriscaldamento elettrica o ad acqua calda.

Il grafico di figura 1 fornisce, in linea generale, un’idea più realistica della perdita di efficienza e quindi della diminuzione del COP delle pompe di calore con evaporatore ad aria utilizzate con temperature esterne minori di 5°C.

Figura 1 – Andamento potenza richiesta dall’utenza e potenza fornita dalla pompa di calore

La linea blu evidenzia come la potenza termica richiesta dall’edificio diminuisca all’aumentare della temperatura esterna; la linea rossa evidenzia la potenza resa da una pompa di calore on/off, la quale aumenta all’aumentare della temperatura esterna. Prima del punto di intersezione, la potenza resa è inferiore a quella richiesta dall’edificio, sarà quindi necessario un sistema di riscaldamento a integrazione, come ad esempio la classica caldaia murale a condensazione; oltre tale punto di intersezione la potenza resa dalla pompa di calore sarà maggiore di quella necessaria a soddisfare l’utenza perciò si avrà un funzionamento discontinuo della macchina.

Figura 2 – Funzionamento della PDC in modalità riscaldamento e ricarica accumulo di sottoraffreddamento

Sistemi di sbrinamento delle pompe di calore

I programmi implementati per individuare il momento più opportuno per l’inizio del ciclo di sbrinamento delle pompe di calore sono diversificati a seconda della taglia della macchina in considerazione e del costo finale, essi sono:

1 – temporizzato: se la temperatura dell’aria esterna è minore di un valore prefissato, la macchina di default procederà ad avviare il ciclo con cadenza prefissata;

2 – text, UR%ext e Twall: in questo caso la macchina conoscendo temperatura, umidità relativa dell’aria esterna e la temperatura di parete dell’evaporatore, stima il tempo dopo il quale il funzionamento subirebbe un decremento troppo elevato di efficienza;

3 – potenza dell’evaporatore: quando il funzionamento non è influenzato dalla presenza di brina, l’evaporatore fornirà una certa potenza legata alla differenza di temperatura tra Text e Twall, ecco quindi che basterà porre una soglia di resa minima accettabile per trovare il momento esatto dell’inizio dello sbrinamento.

Recenti studi hanno sviluppato un sistema di sbrinamento che riduce sensibilmente il costo energetico di questa fase: l’accumulo in sottoraffreddamento.

I benefici riscontrabili della pompa di calore con accumulo in sottoraffreddamento sono:

A – vantaggi nel funzionamento dell’impianto termico;

B – vantaggi nel risparmio energetico complessivo.

Per quanto riguarda il primo punto si può dire che la pompa di calore con accumulo in sottoraffreddamento permette di:

1 – non prelevare calore al serbatoio dell’impianto termico per svolgere il ciclo di sbrinamento;

2 – avere una minore fluttuazione della temperatura dell’impianto termico durante lo sbrinamento e durante la successiva fase di reintegro del calore prelevato dall’impianto stesso durante il ciclo di sbrinamento. Per esempio, per il caso 5°C e UR 85%, la temperatura dell’accumulo dell’impianto di riscaldamento, a fine sbrinamento, è di più di 3°C superiore per la macchina con sottoraffreddatore rispetto a quella tradizionale; per i casi 5°C e UR75% e 0°C e UR 85% la differenza è di circa 2,5°C;

3 – avere una minore fluttuazione della temperatura di mandata dell’impianto nello stesso periodo di tempo. L’impianto lavora con una temperatura di mandata più vicina a quella di progetto durante la fase di sbrinamento e nella successiva fase in cui la pompa di calore reintegra l’energia termica dell’accumulo. Per il caso più gravoso dal punto di vista dello sbrinamento (Text5°C e UR85%), il tempo totale in cui il sistema di riscaldamento lavora al di sotto della temperatura nominale è di poco più di 6 minuti per ogni ciclo complessivo di riscaldamento più sbrinamento;

4 – prevedere un aumento del comfort termico degli occupanti gli ambienti riscaldati, specialmente quando si utilizzano terminali di impianto ad aria oppure sistemi di riscaldamento sprovvisti di accumulo termico o con piccola inezia termica.

Nelle applicazioni in ambito residenziale, le pompe di calore vengono installate con accumuli di dimensioni minori rispetto a quanto necessari o addirittura in presa diretta con l’impianto di riscaldamento. La ragione di questa scelta è probabilmente dettata da ragioni economiche o dallo spazio disponibile. In questi casi i benefici della tecnologia studiata sono ancor più rilevanti in quanto il ciclo di sbrinamento ha conseguenze più dannose sul funzionamento dell’impianto. Non potendo contare sull’effetto inerziale dell’accumulo, la temperatura di mandata dell’impianto scende maggiormente rispetto alla pompa di calore tradizionale: il calore prelevato dal ciclo di sbrinamento incide significativamente sul funzionamento dell’impianto di riscaldamento. In questi casi spesso si è costretti a fermare i terminali di impianto durante lo svolgimento del ciclo, per non creare discomfort termico troppo elevato negli ambienti. Con la tecnologia studiata la temperatura di mandata scende molto meno durante lo sbrinamento e in talune situazioni lo spegnimento dell’impianto di riscaldamento potrebbe essere non necessario con evidenti benefici dal punto di vista del benessere degli occupanti.

Per quanto concerne i benefici energetici dell’accumulo in sottoraffreddamento, si può affermare che:

1 – la macchina permette di spendere meno energia elettrica perché il ciclo di sbrinamento non sottrae calore all’accumulo dell’utenza termica e non deve poi integrarlo. Nelle situazioni in cui l’umidità relativa è molto elevata e la temperatura esterna è tra gli 0°C e i 5°C, il risparmio energetico si aggira intorno al 5%;

2 – la macchina offre la possibilità di lavorare con un COP integrale più elevato rispetto alla pompa di calore tradizionale specialmente quando è necessaria molta energia per lo sbrinamento dello scambiatore alettato esterno. Il COP integrale è di circa il 2% superiore a quello della macchina sprovvista di sottoraffreddatore per le condizioni di temperatura esterna di 5°C e UR 85%. Quando l’umidità relativa è bassa (<55%) non si hanno apprezzabili miglioramenti del COP integrale con l’utilizzo della soluzione studiata.

Il risparmio di energia ottenuto si è visto essere abbastanza contenuto specialmente nei casi in cui l’energia necessaria al processo di sbrinamento è bassa. I benefici tuttavia andrebbero quantificati in base alle condizioni atmosferiche di un inverno tipo in quanto in certe fasce climatiche la macchina potrebbe lavorare per molte ore nelle situazioni in cui offre i maggiori risparmi dal punto di vista energetico.

(Realizzato con il contributo di Alessandro Teti)

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