Normativa

REPowerEU: sul taglio delle emissioni siamo in ritardo

Sul taglio delle emissioni siamo 40 anni indietro, il REPowerEU servirà a modificare la legislazione degli Stati europei per accelerare l’indipendenza dal gas russo (e dalle fossili). Occorre portare a uno o due anni al massimo  i tempi degli iter autorizzativi per le installazioni degli impianti rinnovabili. Livio De Santoli del Coordinamento FREE spiega così le sue considerazioni.
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Raggiungere nei prossimi otto anni una riduzione del 55% delle emissioni non sarà semplice per l’Italia, a causa della mancanza degli strumenti attuativi per un massiccio e coerente ricorso all’uso delle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica. Mentre sembra che si sta affermando a livello generale l’idea che le rinnovabili e l’efficienza energetica siano la soluzione per il caro bollette e i cambiamenti climatici, occorre fare molta chiarezza su cosa ciò significhi.

In materia di autorizzazioni c’è ancora molta confusione sulla definizione delle “aree idonee” alla costruzione degli impianti e sul rapporto stato-regioni riguardante un allineamento delle decisioni per la decarbonizzazione del sistema. La Conferenza delle regioni ha criticato il recente decreto-legge 50 del 17 maggio 2022, il DL Aiuti, che contiene misure urgenti in materia di politiche energetiche proprio sul tema delle aree idonee con motivazioni speciose che non lasciano sperare nulla di buono sul fronte della urgenza dei provvedimenti. Ciò che si fa finta di non capire è che la situazione attuale non è una situazione ordinaria e non può essere risolta con strumenti ordinari. Siamo quindi in ritardo di anni rispetto agli obiettivi della transizione energetica, abbiamo un Pniec (Piano nazionale energia e clima), fermo dal 2019, che a oggi il governo non ha ancora aggiornato, e senza uno sforzo straordinario gli obiettivi del 2030 in Italia non potranno essere raggiunti.

Per fare finalmente chiarezza sull’argomento, consigliamo di rileggere bene cosa riporta la recente Raccomandazione REPowerEU dell’Europa del 18 maggio scorso e destinata a modificare la legislazione degli stati membri per accelerare l’indipendenza dal gas russo (e dalle fossili, aggiungiamo noi). Occorre portare a uno o due anni al massimo (e solo a tre mesi per il fotovoltaico sui tetti degli edifici) i tempi degli iter autorizzativi per le installazioni degli impianti di energia da fonte rinnovabile, rispetto ad una durata attuale che spesso arriva anche a dieci anni. Nelle aree idonee designate, l’amministrazione competente, nel nostro caso le regioni, assicurerà una valutazione d’impatto ambientale preventiva di carattere generale, per accertare l’assenza di rischi conseguente alla installazione degli impianti. In questo quadro, i promotori degli impianti dovranno semplicemente notificare il progetto alle autorità competenti per un rapido screening per verificare la coerenza di quello specifico impianto alla valutazione d’impatto generale dell’area idonea. Questo screening dovrà durare al massimo 30 giorni (e 15 giorni per la riqualificazione di impianti già esistenti o di capacità limiate, ad esempio sotto i 150 kW) e permetterà quindi di conoscere subito se un impianto può o non può essere realizzato, eliminando lungaggini e dispendio di forze e di soldi. Dopo questa scadenza, si applica il silenzio-assenso: il progetto sarà autorizzato, dal punto di vista ambientale, senza che sia necessaria una nuova decisione amministrativa. L’eventuale diniego riportato nei tempi consentiti potrà prevedere una riedizione del progetto sottoposto a una valutazione d’impatto ambientale specifica, da concludersi entro sei mesi. Nelle aree idonee, l’intero processo di autorizzazione non dovrà durare più di un anno (sei mesi per il rinnovo di impianti esistenti o molto piccoli). Ma gli stati membri non dovranno limitare alle sole aree idonee i permessi per i nuovi impianti, e – con ovvia esclusione delle aree protette – potranno prevedere le realizzazioni a fronte di una normale valutazione d’impatto ambientale. Il processo autorizzativo, fuori dalle aree idonee, dovrà durare al massimo due anni (uno per gli impianti esistenti o per quelli piccoli).

Le regioni e il ministero della Cultura sembrano essere di diverso avviso. La Regione Calabria, per esempio, sta per varare una norma che rende impossibile l’installazione degli impianti agrovoltaici che sono una declinazione virtuosa delle rinnovabili la quale consente di far funzionare in maniera armoniosa sia l’attività agricola, sia quella enegetica, creando reddito aggiuntivo per gli agricoltori, mentre il ministero della Cultura ha fatto proprio il ricorso delle sopraintendenze contro la prima centrale a geotermia binaria che è stata autorizzata dalla Regione Toscana in una zona industriale della Val di Paglia.

Tutto ciò mentre sarebbe necessaria una vera e propria rivoluzione alla quale sottoporre gli strumenti di attuazione, destinata a rappresentare plasticamente il significato del momento critico che stiamo attraversando. Il processo di autorizzazione, la progettazione, la costruzione, l’esercizio e la connessione alla rete dei nuovi impianti di fonti rinnovabili e di accumulo devono essere definiti “di interesse pubblico prevalente” e “al servizio della salute e sicurezza pubblica”, in caso di contenziosi giuridici in cui devono essere valutati i rispettivi interessi delle parti. Finalmente viene sdoganato un nostro antico pensiero: rinnovabili ed efficienza devono essere oggi considerati veri e propri strumenti di tutela del paesaggio. E’ l’unico modo per pensare di fare ancora in tempo nella lotta al cambiamento climatico.

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