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Progettisti e installatori dalla parte del cliente

Filippo Busato, ingegnere, laureato nel 2001, “ancora in lire” come lui stesso sottolinea, fa però parte della cosiddetta generazione Erasmus, che - tradotto in euro - vuol dire avere un approccio alla professione di tipo comunitario europeo. Specializzato in ingegneria gestionale, dottorato di ricerca in fisica tecnica, abilitazione scientifica nazionale da professore associato, da tre anni svolge a tempo pieno l’attività come libero professionista e con altri due professionisti ha fondato la 3F con sede a Verona. Inoltre è direttore di una Econ Energy srl, Esco del Gruppo Contec che promuove e finanzia l’efficienza energetica.

“Mi sono sempre occupato di fisica tecnica – precisa Filippo Busato – di efficienza energetica, di climatizzazione nell’accezione più ampia, vale a dire riscaldamento, condizionamento dell’aria, refrigerazione, come progettista di impianti e come consulente di aziende di settore. Inoltre mi occupo di formazione per conto di enti e associazioni di categoria”.

Grazie alla formazione e all’esperienza accademica e all’attuale attività sul campo, Busato ha certamente titolo per indicare se quanto sviluppato dalla ricerca riesce ad essere trasferito sul mercato.

FB: “Meno di quello che vorrei, tuttavia di più di quello che si potrebbe pensare. Anzi, la ricerca è a volte in ritardo su certe applicazioni pratiche e arriva dopo a razionalizzare e fare le necessarie astrazioni. Un esempio? Alcuni anni fa ho scritto un libro sulla pompa di calore e sui sistemi ibridi; nel documentarmi mi sono reso conto della grande quantità di proposte già presenti sul mercato e non note nelle aule universitarie.

“In altri casi invece è vero il contrario: per quanto riguarda trattamento e qualità dell’aria la ricerca è molto più avanti della pratica. In questo caso si tratta di una lacuna dovuta in parte alla ‘scuola impiantistica’ italiana che ha visto privilegiare gli impianti idronici ad acqua rispetti a quelli ad aria.

Dall’esperienza di formatore che cosa ha tratto?

FB: “Per esercitare una buona pratica occorre disporre di una buona teoria; senza i presupposti teorici non si va da nessuna parte e questo riguarda progettisti, installatori, manutentori ai quali vanno trasferiti i giusti concetti teorici. La disponibilità alla formazione è a macchia di leopardo e alcuni territori sono più recettivi di altri. Mi piace constatare che su un tema che mi è caro, cioè i gas refrigeranti, ho trovato spesso nei corsi di formazione un pubblico molto preparato”.

Oggi la produzione tende a proporre macchine complesse ma semplici dal punto di vista dell’installazione; non è infrequente notare che viene sottolineata la formula ‘basta effettuare i collegamenti idraulici ed elettrici’. Che ne dice?

FB: “In effetti è un tema delicatissimo e questa tendenza deriva in buona sostanza dall’attuazione di regolamenti comunitari e da approcci normativi che tendono a portare sul lato costruttore un notevole carico di responsabilità, il quale, a questo punto, stressando il concetto, diventa quasi un propositore di elettrodomestici. Peraltro, c’è anche da mettere sul tavolo di discussione le carenze culturali lato installatore e manutentore ai quali questa semplicità installativa fa gioco”.

E il progettista come entra in questa partita?

FB: “Ci sono luci e ombre e se non si vuole eludere il tema è soprattutto delle ombre che occorre parlare. Purtroppo mi sono imbattuto in situazioni in cui non si può neppure parlare di concorrenza sleale, ma di elusione della concorrenza, con progettisti che giocano la partita per conto dell’immobiliare piuttosto che del cliente. Ma nel momento in cui c’è una contestazione, il progettista che sulla carta è pagato dal cliente, da che parte si schiera? Non è la prassi, ma una pratica utilizzata più di quanto si possa credere. Occorre ritornare a fare i progettisti veri e ad assumerci delle responsabilità delle quali è sempre più difficile farsi carico per la crescente complessità che richiede sempre più specializzazione”.

Attento agli sviluppi delle nuove tecnologie digitali, Filippo Busato ha le idee chiare sulle future tendenze impiantistiche che tuttavia sono già ben presenti e accessibili ora.

FB: “Il tema IoT è il futuro: strumenti, componenti, macchine dialogano tra di loro; il condizionatore non mi deve chiedere nulla, ma ‘leggere’ i dati della centralina meteo collegandosi ai centri di previsione e comportarsi di conseguenza sulla base delle esigenze del cliente. I sistemi dovranno confrontarsi con richieste di comfort sempre più complesse e personalizzate. Costruire una casa di Classe A4 non è difficile, è difficile farla funzionare bene. Far funzionare un edificio Nzeb richiede una cultura Nzeb. Se lascio aperta una finestra in piena estate entra una quantità di calore che non riesco più a smaltire. Il progettista deve tornare ad essere protagonista, trovando risposte adatte ad una realtà molto complessa. Occorrono impianti veloci ad adattarsi alla domanda, pronti a rispondere alle condizioni di benessere quando vengono perturbate. Con questo il progettista deve confrontarsi. Gli edifici possono cambiare molto velocemente la loro conformazione interna, ad esempio la distribuzione degli spazi o la destinazione d’uso. Flessibilità e rapidità di risposta porteranno il progettista a realizzare impianti migliori. Cambia la taglia delle unità abitative, cambia il concetto di abitare e l’abitare è tipico per ogni nazione; è un concetto che hanno gli architetti e gli ingegneri come me devono fare i conti con loro, ci dobbiamo parlare e non solo in ambito residenziale”.

Parliamo di BIM?

FB: “Il BIM è sistema a piramide, complesso, può essere gestito solo all’interno di una struttura complessa, un professionista indipendente, da solo difficilmente potrà integrarsi. D’altra parte vi sono situazioni che non richiedono un approccio BIM e che più semplicemente percorrono con efficacia binari tradizionali. In questo momento è la Pubblica Amministrazione che sta aprendo la strada in particolare sui grandi progetti, ma pian piano arriveremo anche al privato e a taglie di edifici anche di piccola dimensione”.

Potremmo parlare di un mini BIM?

FB: “Perché no? Soprattutto se vedremo la costruzione come opera industriale anziché artigianale, in altri termini si tratta dell’industrializzazione dell’edilizia”.

Torniamo a parlare dell’installatore, del ruolo di questo importante attore delle filiera.

FB: “Gli installatori in Italia sono diverse decine di migliaia e dunque le tipologie di queste strutture sono le più diverse. In futuro vedo l’affermazione dell’installatore che punta sulla sua professionalità e che si farà pagare dal cliente per quello che sa fare evitando di fare il ‘commerciante’ di macchine e di guadagnare sullo sconto che riesce ad ottenere dal costruttore o dal rivenditore. Anche l’installatore, come il progettista, deve stare dalla parte del cliente”.

Il tema della collaborazione progettista-installatore torna sempre sul tavolo.

FB: “È inevitabile. Il progettista dovrebbe sapere quali sono esattamente le richieste del committente e non farle scoprire all’installatore; va bene che il progettista sia quello che dà solo le prescrizioni delle caratteristiche, delle potenze, delle portate che devono essere rese dall’impianto. In altri termini il progettista deve studiarsi la termofisica dell’involucro, determinare i carichi, la domanda di energia dell’impianto, fare direzione lavori correttamente; poi per il progetto vero e proprio potrà anche avvalersi della collaborazione dell’azienda installatrice e/o del fornitore delle macchine”.

C’è da dire che oggi l’offerta da parte del mondo della produzione è così ampia e complessa che il progettista e l’installatore fanno fatica a raccapezzarsi.

FB: “Certamente, e qui ci ricolleghiamo al tema della formazione. Per scegliere bene macchine e sistemi occorre sì conoscere le proposte delle aziende ma anche disporre di un buon bagaglio formativo di base e possibilmente di casi applicativi che possono guidare, come esempi, nelle scelte”.

A determinare il tipo di offerta da parte del mondo produttivo ci sono anche le scelte strategiche di politica energetica che oggi sembrano spingere verso l’energia elettrica.

FB: “Sì oggi sembra che l’energia elettrica possa essere la risposta a tutto perché elimina le complicazioni connesse all’utilizzo del gas. Però una rete gas ce l’abbiamo, è in buono stato, funziona bene e altri Paesi ce la invidiano. A questo proposito, quando si è trattato di determinare le quote di riduzione delle emissione di CO2 nei vari Paesi europei paradossalmente siamo stati penalizzati. Mi spiego meglio: la Germania usava ancora carbone e olio combustibile per cui passando al gas, cambiando i bruciatori, ha quasi automaticamente abbassato le sue quote di emissione. Ma noi avevamo già il gas e dunque avevamo già raschiato il fondo del barile; per ridurre le quote abbiamo dovuto inventarci le incentivazioni del fotovoltaico che in effetti ha portato buoni risultati, tanto è vero che ora il 30% dell’energia elettrica prodotta in Italia viene dalle fonti rinnovabili, anche se ricordo che il grosso del fabbisogno energetico nazionale è soddisfatto dalle fonti fossili”.

Dunque non possiamo vivere di sola energia elettrica?

FB: “Quando si parla di energia elettrica si pone il grosso problema dello stoccaggio e della sostenibilità ambientale dei sistemi di accumulo, cioè delle batterie, aspetto tutt’altro che risolto. Mentre stoccare energia termica così come i combustibili per far fronte alle variazioni di domanda è relativamente semplice, con l’energia elettrica occorre fare bene i conti. È evidente che il suo utilizzo nel settore automobilistico, per esempio, contribuisce a risolvere il problema delle emissioni nocive a livello strada, e non è poco. Ma occorrono valutazioni di più ampio respiro.”

Parliamo infine del quadro legislativo e normativo che regola il settore impiantistico.

FB: “È un tema complesso e delicato e, anche qui, è legato alla cultura, alla conoscenza delle leggi della fisica e della meccanica, alla capacità di astrazione, di generalizzazione. Per cavarmela con una battuta, ma neanche tanto, mi verrebbe da dire che chi scrive una norma, prima di firmarla e approvarla, dovrebbe lui stesso aver provato ad applicarla. Questo per dire che spesso i dispositivi che dovrebbero essere da guida nella realizzazione degli impianti, sono non solo di difficile lettura e interpretazione, ma spesso anche al limite dell’applicabilità”.