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Sistemi di climatizzazione per ospedali e strutture sanitarie

L’aria è ancora più importante dove è in gioco la salute, da qui l’importanza di valutare le qualità dei sistemi di climatizzazione per ospedali e strutture sanitarie. Spesso in passato abbiamo sottovalutato la questione, ma la pandemia, per quanto ufficialmente conclusasi, dovrebbe aver insegnato che l’aria negli spazi di cura, ospedali o altro che siano, è una componente centrale del servizio offerto, perché essa è elemento chiave nello scopo stesso per cui esistono questi ambienti. Ed è il caso di fotografare una serie di istantanee per arrivare a dare una dimensione al lavoro che ci sta dietro.

Vale la pena di sottolineare il punto di partenza: l’aria è veicolo di innumerevoli sostanze, alcune necessarie e fondamentali per la vita, altre benefiche e altre ancora nocive per la salute. L’aria indoor, lo si è detto ormai migliaia di volte, è peggiore di quella esterna. Quindi negli ospedali, dove dobbiamo migliorare la salute di chi viene ricoverato e conservare la salute di chi ci lavora, la gestione dell’aria è fondamentale, quasi un prerequisito per evitare che l’ospedale crei effetti opposti a quelli per i quali esiste. Da questo principio di partenza viene una considerazione lampante: la gestione di temperatura, umidità e qualità dell’aria in uno spazio di cura è una variabile chiave della qualità stessa della struttura, per aspetti che vanno dal benessere dei degenti ai danni umani, sociali ed economici che la non gestione può provocare.

Qualità dell’aria in ospedale

Partiamo da una considerazione preliminare: l’edilizia ospedaliera è assolutamente disomogenea e in larga parte delle strutture pubbliche è nata prima che la gestione dell’aria fosse una disciplina “organizzata”: in molti casi esistono soltanto impianti di riscaldamento tradizionale e quando abbiamo degli interventi nell’ambito del raffrescamento essi sono impostati in chiave di condizionamento dell’aria, non di climatizzazione, anche in ragione della vetustà di molti edifici.

Certamente tutte le riqualificazioni avvenute e in corso dovute a consistenti investimenti (prevalentemente nelle strutture convenzionate piuttosto che in quelle pubbliche) e le nuove costruzioni, queste tanto pubbliche quanto private, sono impostate secondo nuovi criteri, ma anche qui subentra un’altra tematica spesso discussa, ma non ancora risolta, che vede questi nuovi edifici caratterizzati da una forte attenzione alla coibentazione e all’inerzia termica, per diminuire i costi, fattore che non sempre si combina in maniera sinergica con la ventilazione necessaria e il ricambio d’aria, elementi chiave dell’Indoor Air Quality in ambienti dove asportare l’aria contaminata e diluire il più possibile l’incidenza dei contaminanti è a dir poco la regola base.

Questa osservazione vale per tutti i contesti della nuova edilizia concepita secondo la filosofia del Near Zero Emssion, una filosofia incentivata da numerose iniziative di legge volte alla diminuzione dei costi energetici e dell’impatto ambientale derivanti dal riscaldamento e dal raffrescamento degli ambienti. Non possiamo non sottolineare gli enormi passi avanti avuti grazie all’attenzione a cui la legislazione e la normativa tecnica hanno dato impulso, ma non possiamo nemmeno trascurare un punto che vale la pena di tenere presente come centrale nell’edilizia ospedaliera e cioè che il comfort aeraulico – in condizioni in cui si svolge nell’ambiente una terapia o più in generale una degenza o permanenza in spazi dedicati alla cura e alla salute – viene a nostro avviso prima (non in conflitto, badate bene, ma prima) del risparmio energetico.

È quindi necessario prendere buona nota del fatto che una corretta gestione complessiva del tema aria in ospedale è un elemento che ha un ruolo sinergico alle attività svolte all’interno degli edifici dedicati alla cura ospedaliera, perché non possiamo dimenticare che una buona qualità dell’aria ha un effetto migliorativo o quantomeno non peggiorativo rispetto allo stato di salute di pazienti mediamente immunodepressi o immunodeficienti come sono quelli che sono trattenuti negli ospedali.

Date queste premesse avremo una rilevanza dell’argomento superiore e un’attenzione da dedicare più approfondita di quanto non sia quella che dedichiamo agli impianti in genere, ferma restando la caratterizzazione dell’ambiente ospedaliero che non ha un’omogeneità totale, anzi, è estremamente diversificata e richiede sensibilità specifiche: esistono infatti situazioni distinte e molto eterogenee, che sono determinate dalle destinazioni d’uso degli spazi e dalla loro specificità in termini di esigenze di trattamento dell’aria e dei valori di temperatura e umidità nonché degli indici di qualità dell’aria.

L’aria nei reparti di degenza

La questione degli impianti, della loro impostazione e della loro gestione è legata appunto alle tipologie di utilizzo degli spazi: le zone di degenza si connotano per fattori specifici, che riguardano le patologie trattate, la loro veicolabilità attraverso l’aria, il rischio di infezioni nosocomiali, il grado di immunodeficienza o di immunodepressione dei pazienti dislocati nel reparto.

Sono tutte considerazioni che devono portare – nel quadro di edifici sempre più caratterizzati come dicevamo pocanzi dalla filosofia NZEB – a gestire adeguatamente e specificamente il tema dei volumi di ricambio e della filtrazione, nonché del trattamento delle condotte a fini di sanificazione: in ogni fase del lavoro impiantistico, sia essa progettuale, installativa o manutentiva è necessario che l’azione sia il più possibile sinergica alle problematiche di ventilazione e di morbilità che i pazienti ivi ricoverati manifestano.

Non va mai dimenticato il lavoro trilaterale che l’impianto svolge a favore dello spazio servito: diluizione dei volumi di aria contaminata, filtrazione dei contaminanti, igienizzazione volta al massimo contenimento possibile dei patogeni sono altrettante direzioni di intervento che devono essere ben presenti in ogni attività, che richiede soprattutto una forte organizzazione a valle del collaudo: prassi manutentive di filtri, serrande e condotte devono essere impostate in chiave fortemente preventiva e programmata, per ridurre al minimo i rischi connessi alla scarsa gestione dell’impianto.

La specificità di alcuni reparti (quelli dedicati alle malattie respiratorie o quelli dei pazienti reduci da eventi chirurgici e quindi maggiormente soggetti alle problematiche di infezioni virali o batteriche) deve essere anch’essa presa in considerazione e non solo in fase progettuale, ma anche di gestione / manutenzione, mentre un altro aspetto che non va sottovalutato è quello delle più generiche condizioni di veicolazione trasversale delle patologie, argomento che approfondiremo più compiutamente parlando delle partizioni dell’impianto.

Aria pulita nelle sale operatorie

La sala operatoria è un ambiente che ha la sua caratterizzazione dal punto di vista impiantistico in un elemento di metodo di impostazione del lavoro svolto dal sistema per tutelare la qualità dell’aria, la costanza di temperatura e di umidità: la sovrapressione, che consente il mantenimento di condizioni pressoché costanti e un altro di carattere tecnico, che supporta il lavoro dell’impianto, cioè la lama d’aria.

La sovrapressione è fondamentale perché mette l’ambiente servito da un sistema dotato di filtri assoluti di avere un apporto minimo, prossimo al nullo di contaminanti e di espellere grazie appunto alla pressione superiore a quella dell’aria degli ambienti esterni tutto ciò che di contaminante si sviluppa in ambiente e si trova aerodisperso. Inoltre l’espulsione dell’aria per sovrapressione determina la minima alterazione dovuta allo scambio con l’ambiente esterno, favorendo il mantenimento delle condizioni termoigrometriche ideali per lo svolgimento delle attività a cui questo spazio è assegnato. È una soluzione obbligata per garantire il minimo contagio settico legato alle pur minime alterazioni inquinanti o patogene che il team degli operatori e il paziente stesso portano nello spazio, trovando la sua significatività anche nella corretta collocazione di tutti gli elementi della sala in funzione dei flussi d’aria progettati.

Non da oggi è in corso una linea di ricerca e sviluppo volta a ridurre il rischio di sepsi da fattori aerodispersi nella progettazione e costruzione di blocchi operatori, ma rimane fermo il punto che l’energia profusa per un allestimento coerente con obiettivi di minima contaminazione non può considerarsi ben spesa se non è accompagnata da altrettanta energia manutentiva che più che altrove fa capo al tema della filtrazione e dell’igienizzazione.

Non deve mancare un’attenzione ad un aspetto che è fondamentale e che più volte abbiamo sottolineato in altri contesti: l’utilizzo di sistemi di filtrazione molto efficaci è contrastante con la prevalenza necessaria a garantire la sovrapressione, per cui è chiaro che la gestione di questi spazi comporta un lavoro dell’unità di trattamento aria più intenso ai fini del risultato. La sostituzione dei filtri per evitarne l’intasamento eccessivo e quindi ulteriori consumi per generare la sovrapressione è un altro punto di particolare attenzione in sede manutentiva.

Aria nei laboratori di analisi e nelle camere bianche

È un fattore consolidato a livello di progettazione e installazione degli impianti aeraulici negli ospedali che nelle camere bianche (pulite) il concetto di sovrapressione e la tipologia di lavoro sia uguale a quella applicata nelle Sale Operatorie. Si tratta di un punto chiave nella salvaguardia delle condizioni e dei requisiti minimi che permettono il regolare svolgimento delle operazioni a cui questi spazi sono destinati, perché in assenza di questi requisiti tutte le attività svolte in questi ambienti sono a rischio esplicito di contaminazione importata e quindi di peggioramento di quella Indoor Air Quality che è componente determinante del lavoro svolto nelle camere bianche e nei laboratori.

Il tema delle camere bianche e dei laboratori prevede di rendere sinergico l’impianto alle modalità di accesso allo spazio e quindi di tenere sempre in considerazione le metodologie di lavoro del personale adibito alle lavorazioni: diventa necessario considerare appunto una procedura messa in atto per mantenere costante il controllo del grado di pulizia che prevede che la Camera Bianca sia costituita da zone compartimentate e definite. Nella maggioranza dei casi essa è divisa in due zone: la Zona Ingresso (filtro) con un ΔP di sovrapressione di circa 2Pascal, dove staziona il personale in entrata, per le operazioni di vestizione prima dell’accesso al laboratorio e la Zona Laboratorio (dove si svolgono le lavorazioni nella quale è previsto un ΔP di 5 Pascal circa). Gli accessi sono costituiti da un sistema di interblocco e allarmi delle porte, il quale impedisce la comunicazione, in fase di ingresso e uscita dal laboratorio all’esterno.

Esistono inoltre anche diverse tipologie di camere, dette di Sicurezza Biologica (BL3) o Rischio Biologico e sono divise in vari livelli di rischio BL1 – BL2 – BL3. Il principio di funzionamento è contrario, cioè le camere (laboratori) sono in depressione, ovvero viene mantenuta una pressione più bassa in modo che nulla possa uscire, ovviamente mantenendo tutti gli standard di sicurezza.

Citiamo per maggiore informazione un punto di normazione tecnica che costituisce lo standard formale applicato per il microclima ospedaliero e cioè la norma UNI EN ISO 7730:2006 T la quale si incardina su due indici: il PMV è un indice che predice il valore medio di valutazione del comfort di un grande gruppo di persone, mentre l’indice PPD fornisce una previsione quantitativa del numero di persone che non sarà soddisfatto. Va ricordata nello specifico norma UNI EN 11425/14644 che si occupa di stabilire indicazioni in materia di Impianto di ventilazione e condizionamento a contaminazione controllata (VCCC) per il blocco operatorio.

L’aria nelle zone di servizio

Non possiamo dimenticare che un impianto di gestione dell’aria abbia una sua estensione anche su aree all’interno degli ospedali che scontano le loro particolari difficoltà nella gestione dei fattori termoigrometrici e di IAQ: dalle palestre per attività fisioterapiche agli ambienti dove vengono allestiti i pasti poi veicolati nei reparti, per non entrare poi nelle aree di vero e proprio servizio come spogliatoi, aree igienico sanitarie per il personale, magazzini.

La loro interazione con il resto dell’edificio ci pone davanti ad una delle più importanti questioni che riguardano edifici così grandi e complessi come quelli di cui stiamo parlando, perché si arriva a stabilire una delle più importanti “regole” progettuali che non sempre vengono rispettate e che invece costituirebbero un elemento di salvaguardia del comfort e della salubrità dell’aria erogata attraverso l’impianto.

La partizione degli impianti

Ci troviamo davanti a situazioni che – soprattutto nell’epoca dell’adozione massiva della Ventilazione Meccanica Controllata – producono alcuni interrogativi importanti a cui è necessario dare risposte chiare. Il primo fra tutti è quello della possibilità di “sezionare” il lavoro di un impianto escludendo aree sulle quali effettuare interventi di qualificazione igienizzante e sanificante per evitare la necessità di chiudere interi reparti per svolgere le azioni peraltro obbligatorie per legge (vedi oltre).

Il sezionamento può avvenire in maniera “dinamica” utilizzando un sistema di serrande che precludano la circolazione unica e indifferenziata, in modo da determinare la possibilità di intervenire in modalità periodica o generata da analisi specifiche. Ci addentriamo in questo spinoso terreno sottolineando come durante la pandemia si siano create aree ospedaliere Covid free, ma non ci fosse certezza che gli impianti aeraulici che servivano queste aree fossero sezionabili in maniera coerente da quelli dedicati ai pazienti affetti dal virus.

Siamo quindi a dire che forse la logica di costruzione di questi impianti è da rivedere in una chiave di tipo più parzializzato, laddove – come abbiamo evidenziato in precedenza – le esigenze di reparti e ambienti differenti pongono nelle condizioni di lavorare molto meglio con unità di trattamento aria più piccole e anche ridondanti per evitare situazioni di contaminazione incrociata o di difficoltà manutentive.

Può essere un argomento che determina qualche ritrosia in termini di costi conseguenti a livello iniziale, ma la possibilità di servire zone specifiche con segmenti di impianto o impianti dedicati è qualificante ai fini del discorso iniziale che abbiamo proposto e cioè il ruolo collaborativo dell’aria nell’attività stessa dell’ospedale, migliorare (o quantomeno non peggiorare) le condizioni di salute di chi per lavoro o necessità si trova a frequentare questi ambienti.

Igienizzare gli impianti di climatizzazione

A conclusione di questa panoramica sull’importanza di un’aria che è così incisiva sulla destinazione d’uso degli ambienti tocchiamo uno degli argomenti più spinosi e oscuri del comfort igienico dell’aria, quello delle attività di igienizzazione e sanificazione, obbligatorie in qualsiasi ambiente di lavoro ai sensi del Decreto Legislativo 81 2008 e quindi tanto più quando il lavoro svolto riguarda la salute delle persone. Non stiamo ad entrare nel dettaglio delle direttive, linee guida e norme che riguardano la materia, limitandoci a ricordare i due testi fondamentali in materia e cioè le Linee Guida della Conferenza Stato Regioni del 2006 e quelle del 2013, che pongono le basi per una procedura ben definita costituita di ispezione visiva, ispezione tecnica (con conseguenti analisi di laboratorio), rimozione del particolato e igienizzazione di unità di trattamento aria e condotte.

Riflettiamo però su un punto che è particolarmente rilevante ai fini dell’ottenimento dell’obiettivo di questi interventi: essi come qualsiasi altra prassi o tecnologia applicata hanno lo scopo incontrovertibile di contenere al minimo il rischio aeraulico, non di eliminarlo: abbiamo già constatato più volte come l’unica forma di eliminazione del rischio è l’ambiente sterile in cui le condizioni pratiche di lavoro sono estremamente difficoltose, per cui dobbiamo scendere a compromessi con la nostra natura di esseri portatori di potenziale rischio aeraulico (indipendentemente dal tasso di inquinamento o da altri fattori).

Ma non può mancare una constatazione di fondo estremamente importante: se l’igienizzazione è una delle armi di contenimento del rischio aeraulico, dovrebbe essere chiaro a chi progetta, costruisce e manutiene gli impianti soprattutto negli ospedali che essa deve essere resa possibile da modalità progettuali e installative appunto e da una collaborazione fra soggetti che effettuano la gestione / manutenzione e soggetti che svolgono attività di sanificazione, per portare l’impianto in condizioni di maggiore collaborazione all’obiettivo di comfort igienico – sanitario dell’aria che esso eroga.

 

IAQ: qualcosa si muove verso la qualità dell’aria indoor