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Norma UNI 8065: trattamento dell’acqua negli impianti termotecnici

La norma uni 8065/2019 per il trattamento dell’acqua negli impianti termotecnici, ha carattere cogente e quindi va conosciuta e applicata dai progettisti di impianti oltre che da installatori e manutentori. in questo articolo si parla in modo particolare della corrosione da ossigeno negli impianti e dell’utilizzo dei sistemi di disareazione dell’aria presente nell’acqua. Tra le varie novità, la norma riconosce la validità di alcune apparecchiature oggi presenti sul mercato e che trenta anni fa nella sua prima stesura non erano state prese in considerazione.

Pubblicato nell’estate 2019, l’aggiornamento della Norma UNI 8065 non è ancora stato ben assimilato dagli addetti ai lavori, infatti ancora oggi il trattamento dell’acque degli impianti termici è ancora sottovalutato. Questo nonostante siano disponibili lavori bibliografici e web, riviste specializzate che da anni trattano in modo esauriente la materia, tra cui in particolare è bene citare la mole di lavoro prodotta e scientemente raccolta da alcuni tecnici. Già nella sua prima versione del 1989 la Norma è stata inserita più volte nei decreti attuativi che si occupano di efficienza: già il DPR 412/93 la citava come norma da utilizzare. Oggi il DM 26/06/2015 Requisiti Minimi la continua a citare come norma di riferimento per il trattamento dell’acqua sia ai fini dell’efficientamento energetico che della salvaguardia degli impianti dai danni dovuti all’errato trattamento dell’acqua. La norma si presenta oggi come un vero e proprio manuale valido per la consultazione da parte del progettista, installatore e manutentore. In questo breve articolo vogliamo ricordare l’importanza della norma, che in quanto citata in campo legislativo ha carattere cogente, e quindi va conosciuta e applicata in primis dai progettisti di impianti oltre che dagli installatori e manutentori. Tratteremo solo della corrosione da ossigeno negli impianti e dell’utilizzo dei sistemi di disareazione dell’aria presente nell’acqua. Tra le varie novità la norma riconosce la validità di alcune apparecchiature oggi presenti sul mercato e che ai tempi della sua prima stesura non furono prese in considerazione.

La UNI 8065/2019 e i disposti legislativi per il trattamento dell’acqua

Per quanto riguarda il trattamento dell’acqua dell’impianto di riscaldamento, il DM 26 giugno 2015 (allegato 1 p.to 2.3 comma 5) impone per tutti gli impianti termici, indipendentemente dalla loro potenza, il condizionamento chimico dell’acqua dell’impianto con un addolcitore per impianti di potenza termica del focolare superiore a 100 kW, quando la durezza dell’acqua supera i 15°F. Il decreto fa riferimento per ben due volte alla norma UNI 8065 come norma da seguire per il trattamento dell’acqua negli impianti di riscaldamento ed è addirittura più severo della norma stessa, che prevede l’obbligo di addolcire l’acqua di riscaldamento solo in presenza di impianti di potenza non minore di 350 kW, oppure per impianti di potenza inferiore a 350 kW, ma con durezza dell’acqua superiore a 35°F.

Per quanto riguarda invece il trattamento dell’acqua calda sanitaria, dal momento che il decreto tratta unicamente l’acqua dell’impianto di riscaldamento, l’unico riferimento normativo è la suddetta norma UNI 8065 che prevede per l’acqua calda sanitaria, indipendentemente dalla potenza termica dell’impianto, un addolcitore se la durezza è maggiore o uguale a 25°F, o la possibilità di scegliere tra un condizionamento chimico o un addolcitore se la durezza è inferiore a 25°F.

Il MISE a tal proposito, in termini di efficienza energetica relativamente al Decreto requisiti minimi con la FAQ n. 2.27 riferita al decreto stesso, alla domanda se “Oltre all’obbligatorio trattamento dell’acqua per il circuito di riscaldamento è obbligatorio anche il trattamento dell’acqua per impianto di acqua calda sanitaria?” rispondeva con “Il trattamento dell’acqua per l’impianto di acqua calda sanitaria di cui al paragrafo 2.3, comma 5 dell’Allegato 1, è obbligatorio per gli impianti termici per la climatizzazione invernale, indipendentemente dal fatto che l’impianto produca o no acqua calda sanitaria. Per gli impianti di climatizzazione invernale che producano anche acqua calda sanitaria, il trattamento è obbligatorio per entrambi i circuiti. Tale trattamento è comunque consigliabile anche per gli impianti di sola produzione di acqua calda sanitaria.”

Aggiornamento della Norma UNI 8065

La nuova versione della Norma UNI 8065, uscita post DM 26/06/2015 si adegua allo stesso, trattando non solo degli impianti di climatizzazione invernale ed estiva, degli impianti idricosanitari e dell’impianto solare termico. Si ricorda l’importanza di inserire in fase di progetto i dati richiamati dalla normativa, sia in termini di parametri chimico-fisici dell’acqua a disposizione che dei trattamenti previsti. Già alla seconda pagina del libretto di impianto si prevede la compilazione dei dati relativi al trattamento dell’acqua, ma spesso questa parte di compilazione è il più delle volte disattesa. Data l’importanza e la cogenza della norma, è bene ricordare all’installatore di impianti termici che è richiesta la prima compilazione del libretto d’impianto di climatizzazione, inclusa la parte relativa al trattamento dell’acqua., mentre al manutentore incaricato dal responsabile dell’impianto spetta l’aggiornamento del libretto d’impianto.

Nel Rapporto di controllo e di Efficienza energetica Tipo 1 nelle sezioni C e F si parla di trattamento acqua; con la pubblicazione della nuova UNI 8065 la modulistica ministeriale non è cambiata e la nuova versione aggiorna anche gli aspetti legati ai nuovi dispositivi entrati nel mercato. L’aggiornamento introduce e cita l’adozione di nuovi dispositivi come i defangatori con magneti estraibili, sistemi di filtraggio, demineralizzazione, degassificazione e disareatori automatici, la disinfezione degli impianti (soprattutto quelli ad uso sanitario) prima della messa in funzione, e infine l’uso di antigelo non tossico, vietando di fatto l’uso di glicole etilenico.

Trattamento dell’acqua per la corrosione da ossigeno

Negli impianti termotecnici in generale si possono riscontrare danni per il mancato trattamento dell’acqua, ovvero perdite percentuali di efficienza energetica dovuti principalmente a:

– incrostazioni;

– depositi di calcare;

– corrosioni in generale;

– formazioni microbiologiche;

– congelamento;

– degrado del fluido termovettore.

La corrosione da ossigeno può avvenire per la presenza di ossigeno nell’acqua, per sotto deposito in modo elettrochimico, per correnti vaganti, per formazioni acide diffuse e localizzate. La corrosione investe principalmente i materiali metallici, in particolare acciai basso legati, rame, ferro zincato, ghisa, alluminio e acciaio inox. Anche se non trattati espressamente nella UNI 8065, i materiali sintetici tipo polietilene, polipropilene e multistrato, se non soggetti a corrosione in alcuni casi possono essere veicolo di ossigeno all’interno degli impianti. La corrosione da ossigeno è un fenomeno naturale, ossia l’ossidazione dell’acciaio, o più in generale delle leghe di materiali ferrosi. Noto che il ferro in natura non si trova allo stato puro ma combinato con l’ossigeno a formare l’ossido di ferro, la separazione dall’ossigeno avviene quindi in fase di produzione e fusione in altoforno. L’acciaio in forma solida cosi prodotto tende ad assorbire ancora ossigeno dall’aria e dall’acqua, cercando di ristabilire l’equilibrio naturale con il processo di ossidazione. I materiali ferrosi o le loro leghe prima citati, che si usano negli impianti termotecnici, non assorbono l’ossigeno presente nella molecola di acqua, se non in minima parte, ma dalla presenza di aria disciolta o in microbolle presente nell’acqua usata come termovettore. L’aria disciolta nell’acqua presenta un contenuto di ossigeno superiore del 21% presente nell’aria allo stato libero, nell’ordine di grandezza attorno al 35%. Ne consegue che l’ossigeno presente nell’aria sotto forma di piccole bolle nelle acque degli impianti viene assorbito dall’acciaio presente nelle tubazioni e nei generatori principalmente formando ossido di ferro (4Fe + 3 O2 = 2 Fe2O3), ovvero ruggine di colore rossastro. Una continua formazione di ossidazione porta alla riduzione degli spessori fino alla rottura del componente o della tubazione causando una perdita dell’acqua di circuito.

La corrosione da ossigeno è riconoscibile dalla formazione di specie di crateri in superficie, se non viene contrastata investe l’intera massa ferrosa dell’impianto causando perdite e continui reintegri di acqua nell’impianto, anch’essa deleteria in quanto contribuisce all’introduzione di parte calcarea. Se invece si riesce a proteggere l’impianto in generale dall’introduzione di ossigeno attraverso reintegri di nuova acqua, il naturale contenuto di ossigeno presente all’inizio viene gradualmente ridotto, avvenendo una ossidazione parziale con carenza di ossigeno formando magnetite (Fe3O4) di colore nerastro la quale induce un’azione protettiva contro le corrosioni. (3Fe + 3 O2 = Fe3O4 tetrossido di triferro – magnetite)

Presenza di aria negli impianti

L’ossigeno contenuto nell’aria entra in un impianto di climatizzazione recente del tipo a vaso chiuso si insinua nel circuito per almeno tre processi. Il primo è dovuto all’aria disciolta nell’acqua attraverso la formazione di microbolle; quanta aria sia disciolta nell’acqua dipende sostanzialmente dalla pressione e dalla temperatura del liquido. Senza entrare nel merito della Legge di Henry, possiamo dire che ogni metro cubo di acqua fredda introdotta a 20°C e riscaldata poi fino a 70°C ad una pressione costante di 2 bar, si riesce a liberare fino a 20 litri di aria nell’impianto sotto forma di microbolle. Le microbolle di dimensioni variabili da 0,01 a 0,1 mm si formano in riscaldamento sulle superfici di scambio termico tra fumi e acqua in circolazione. L’acqua a contatto con la parete di acciaio o similare a temperatura superiore ai 100°C comincia a formare microbolle che poi vengono trascinate nell’impianto nei punti più alti dello stesso o in prossimità dei terminali. Una volta raffreddata l’acqua riassorbe parzialmente l’aria formatasi. Il secondo motivo riguarda l’aria che si introduce in fase di carica dell’impianto e che si insacca anch’essa nei punti più alti. Nel terzo esempio si forma aria per zone di depressione nell’impianto. La presenza di aria nell’impianto, oltre a causare problemi di resa ai terminali e quindi perdita di efficienza, problemi di circolazione del liquido e può essere causa di rumori e come detto sopra di corrosione.

Tubazioni plastiche e corrosione da ossigeno

È altresì noto che le tubazioni plastiche, a causa della minore densità che presentano rispetto agli acciai e per la loro struttura molecolare, sono molto permeabili ai gas. Il gas permea nella tubazione dall’esterno verso l’interno per differenza di pressione parziale dei vapori tra le due parti. In genere si è visto, soprattutto nelle tubazioni posate per impianti a pavimento che l’aria entra nelle tubazioni attraverso il massetto di posa e genera ossigeno che poi porta alla formazione di ruggine e quindi corrosione nelle parti metalliche dei generatori. La fanghiglia da ruggine che si forma inoltre può provocare danni anche ai materiali anticorrosivi, oltre a compromettere lo scambio termico in caldaia e generare forti surriscaldamenti delle superfici. Già negli anni ottanta e novante le norme DIN prescrivevano tubazioni impermeabili al vapore ossia con barriera ossigeno. Oggi sono consolidate nel mercato e scontate nella scelta delle tubazioni per impianti radianti. Una permeabilità all’ossigeno inferiore a 0,1 mg/(l giorno) a 40°C può essere ritenuta comunque sicura da danni di corrosione da ossigeno in un impianto.

Viceversa, con le tubazioni permeabili al vapore usate in passato si arrivava a valori nell’ordine di 5 mg/(l giorno) di ossigeno. Se come detto prima per la legge di Henry un’acqua potabile possiede circa 10 g/m3 di ossigeno con semplici calcoli si arriva a produrre in una stagione più di 3 kg/m3 di fanghiglia sotto forma di ruggine nell’impianto. Ecco la convenienza di utilizzare materiali impermeabili ai gas, ovvero tubazioni con barriera ossigeno. E nel riammodernamento ed efficientamento dei vecchi impianti conviene per sicurezza separare fisicamente i due circuiti in primario e secondario con uno scambiatore di calore.

Eliminazione dell’aria e dei gas con i disaeratori automatici

Troppo spesso si ritiene erroneamente che dopo il primo riempimento degli impianti non si necessiti di ulteriori e successivi sfiati dell’aria presente. Quindi in primis bisogna realizzare e progettare l’impianto pensando ai punti di sfiato manuali ovvero automatici, da posizionare in sommità dell’impianto e nei corpi scaldanti. Gli sfiati automatici opportunamente scelti e pensati vanno posizionati correttamente nell’impianto, tenendo presente che se sono troppo piccoli non vanno bene, perché si incrostano velocemente e fanno comunque passare microbolle o bolle di piccole dimensioni. Una volta era prassi installare un cosiddetto polmone di raccolta gas nella parte alta dell’impianto dotato di sfiato manuale di opportune dimensioni. Ecco quindi l’importanza di liberare i gas e l’ossigeno in modo automatico.

Per evitare e ridurre i fenomeni descritti, anche la nuova UNI 8065 consiglia l’installazione dei disaeratori automatici. Questi sono in grado di eliminare l’aria formatasi nell’impianto, ma in modo automatico, sfruttando il principio di continuità che riduce la velocità al loro interno, facendo passare l’acqua con l’aria formatasi attraverso una rete metallica dove le microbolle vengono catturate e fatte sfiatare per gravità verso l’alto attraverso degli sfiati automatici. I disaeratori possiamo definirli come captatori utili a eliminare l’aria nell’impianto di climatizzazione, facendo funzionare gli impianti con acqua in cui è presente poca aria e pertanto poco ossigeno riducono il fenomeno della corrosione. I disareatori automatici in vendita vanno da diametri piccoli nell’ordine del DN 20 fino a DN 300 mm. Oltre una certa dimensione vengono forniti di coibentazione, essendo funzionanti sia in inverno che in estate.

Sia i disaeratori automatici flangiati che i disaeratori automatici a saldare o disaeratori automatici a filettare sono forniti con un piccolo rubinetto che può scaricare l’aria in fase di riempimento, o le impurità formatesi all’interno dell’apparecchio. Spesso nella parte inferiore si trova un tappo di spurgo per spurgare le impurità pesanti depositate nel fondo.

La velocità massima raccomandata del fluido agli attacchi del dispositivo è di circa 1,2 m/s. I costruttori forniscono le portate di lavoro in funzione del DN e della velocità del fluido sopra richiamata. Vengono fornite anche le caratteristiche idrauliche in termini di Kv o attraverso diagrammi che forniscono le perdite di carico da considerare nei pompaggi. Si arriva a perdere dai 0,5 ai 1,5 kPa per disareatore. I dispositivi descritti si utilizzano per la progressiva eliminazione dell’aria sia in circuiti di riscaldamento che in circuiti di refrigerazione. Essi si installano (figure 1-2-3-4 ) dopo la caldaia, in aspirazione della pompa, dove si genera più aria. Mentre nei circuiti ad acqua refrigerati sempre in aspirazione della pompa ma generalmente sulla linea di ritorno.

L’esperienza conferma che una sottovalutazione dei problemi sopra esposti può portare a conseguenze gravi, soprattutto con danni ai generatori di calore. Spesso la colpa viene data ai generatori, perché hanno scarsa circolazione d’acqua o si forano a causa della bassa qualità del materiale, mentre le cause reali sono altre. È quindi necessario ricordare che un corretto trattamento dell’acqua e una corretta progettazione dell’impianto di climatizzazione in generale sono garanzia di sicurezza, efficienza energetica ed economica, oltre a garantire una corretta manutenzione e resa termica costante nel tempo.

(Realizzato in collaborazione con l’ing. Diego Danieli)

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